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La relazione terapeutica nella dissociazione strutturale

Il principale strumento di lavoro in una psicoterapia è l’alleanza terapeutica; paziente e terapeuta lavorano insieme per raggiungere obiettivi condivisi. Molti studiosi riflettono circa il valore da attribuire alla relazione terapeutica, ossia se essa va considerata come presupposto affinché possa essere efficace l’intervento terapeutico o come fattore terapeutico di per sé. L’alleanza terapeutica è quindi un requisito necessario per consentire al terapeuta di fare specifici interventi, ma allo stesso tempo diventa strumento indispensabile di accettazione e di cura all’interno del processo terapeutico. Per tale motivo una buona riuscita della terapia è collegata innanzitutto alla costruzione di un rapporto significativo tra i due attori del processo, basato sulla fiducia reciproca, configurandosi come un nucleo concettuale e clinico di estrema rilevanza.



La competenza del terapeuta implica la capacità di saper ascoltare, accogliere e decodificare i messaggi verbali e non verbali del paziente e l’adeguatezza dei suoi interventi all’interno dell’interazione.


La creazione della relazione terapeutica con una persona traumatizzata è un processo molto delicato e articolato, poiché il terapeuta deve riconoscere le divere parti del paziente presenti nella stanza di terapia ed entrarci in relazione, prestando al tempo stesso molta attenzione alle modalità di interazione e di contatto con questa tipologia di pazienti. Un paziente traumatizzato può presentare una dissociazione, sperimentare un’esperienza travolgente, divisa e frammentata, dove emozioni, suoni, immagini, pensieri e sensazioni fisiche legate al trauma assumano vita propria, ignorando il momento attuale e l’esperienza presente.


Le persone traumatizzate vivono una disconnessione del corpo dalla mente, per cui a volte possono non percepire intere aree del proprio corpo o a riconoscere le parti del Sé; il non riconoscere le diverse parti del Sé e il non essere in grado di discernere ciò che accade all’interno del corpo causa la mancanza di contatto con i propri bisogni e quindi la mancanza di cura del sé. Il fulcro del processo terapeutico è dunque la consapevolezza, con l’obiettivo di riappropriarsi della propria vita, elaborando l’evento accaduto, con l’aiuto del terapeuta, e cambiando il rapporto con le proprie sensazioni corporee, con le memorie traumatiche e con le proprie esperienze emotive. Bisogna far sì che le esperienze traumatiche non dominino l’esistenza ma che siano parte del vissuto e della storia del paziente. In tali circostanze, la riflessione del terapeuta dovrebbe essere: “con un paziente traumatizzato come si costruisce l’alleanza terapeutica, considerando che nella stanza di terapia non c’è solamente il terapeuta e il paziente nella sua interezza, ma anche tutte le sue parti traumatizzate?” Fondamentale è che il terapeuta consideri che ci sono delle parti che comunicano attraverso il canale della comunicazione non verbale e non solamente attraverso il canale esplicito del linguaggio verbale. L’alleanza terapeutica con un paziente traumatizzato va ridefinita e studiata attentamente, secondo le caratteristiche e il vissuto di quella specifica persona; la psicoterapia sensomotoria si avvale della teoria della dissociazione strutturale, alla quale il terapeuta può attingere per decifrare i messaggi impliciti, il non verbale, le memorie. Dunque, L’alleanza terapeutica non è solo un fattore che predice il buon esito dell’esperienza di psicoterapia, ma in presenza di vissuti traumatici, può costituire una priorità assoluta per evitare una situazione di blocco del trattamento o drop out del paziente.


Ci sono parti che non comunicano che prima vanno riconosciute dal terapeuta e poi il paziente le deve vedere, riconoscere e accettare. Quindi alla base della costruzione di una solida alleanza terapeutica con il paziente c’è il “riconoscimento” dell’altra persona nella sua complessità e nelle sue parti. È importante che il paziente, familiarizzi con le parti e conosca il loro funzionamento. Non è possibile lavorare in terapia con il ricordo traumatico finché tutte le parti del paziente non sono consapevoli del ricordo. Prima di iniziare il lavoro sulle parti fondamentale è fare un intervento di Psicoeducazione, fornendo informazioni al paziente su come le esperienze sfavorevoli o traumatiche, a seconda della gravità, hanno prodotto una dissociazione o frammentazione del senso unitario o integrato del Sé in vari Sé o parti. È necessario rendere il paziente consapevole della presenza delle diverse parti e del come si esprimono. Se non c’è condivisione con il paziente dell’esistenza delle parti e del loro funzionamento anche l’alleanza terapeutica rischia di essere parziale.


La comunicazione implicita a cui deve prestare attenzione il terapeuta comprende gesti, posizione corporea, postura, prosodia, espressioni facciali e schemi di movimento di ogni parte emotiva. Nella stanza di terapia paziente e terapeuta mettono in atto una comunicazione non verbale che comprende aspetti della loro esperienza immediata e passata: è opportuno comunicare in maniera cosciente ed esplicita ciò che è espresso implicitamente, monitorando allo stesso tempo nel qui ed ora i pensieri, le emozioni, gli stati mentali e i vissuti corporei del terapeuta. Ci sono due competenze che aiutano il riconoscimento, il dialogo e l’alleanza tra le parti: - il tracking (tracciare, individuare le tracce implicite, il non verbale) che agganciato al ricalco verbale di contatto, permette all’implicito di diventare esplicito.


Lo scopo della terapia è quello di regolare le emozioni contenendo gli eccessi sia di ipoattivazione che iperattivazione, riportando la persona nella finestra di tolleranza, conducendo il paziente in una posizione intermedia, di equilibrio, di integrazione, in cui non ci sarà nè distacco né tempesta emotiva. La persona fa esperienza di essere al sicuro e con la guida dal terapeuta, riuscirà a trovare in sé stesso quella sicurezza. Le parti traumatizzate devono essere riconosciute e accettate così che la parte adulta possa rassicurarle e avere cura di loro. Il fulcro del processo terapeutico è, dunque la consapevolezza, con l’obiettivo di riappropriarsi della propria vita, elaborando l’evento accaduto e cambiando il rapporto con le proprie sensazioni corporee, memorie traumatiche e con le proprie esperienze emotive. Bisogna far sì che le esperienze traumatiche non dominino l’esistenza ma che siano parte del vissuto e della sua storia.

Il dialogo clinico, le capacità di auto-osservazione, monitoraggio e regolazione degli stati emotivi, permettono al paziente di riconoscere le parti e allo stesso tempo di migliorare le abilità di riflessione sui propri stati mentali ed emotivi. Per permettere l’elaborazione/integrazione dei ricordi traumatici è fondamentale che il paziente sperimenti la sensazione che può fidarsi e quindi affidarsi al terapeuta. Il paziente è guidato nel processo terapeutico dal terapeuta che mostra una disponibilità prevedibile e costante. Solamente se il paziente sentirà di essere al sicuro nella stanza di terapia, riuscirà a identificare, far dialogare e integrare le diverse parti del Sè.


«Possiamo dirci guariti nel momento in cui accettiamo noi stessi, ci perdoniamo per quello che è successo arrivando addirittura ad amarci». Lo scopo del lavoro con le parti è proprio questo: accettare quello che di brutto è accaduto ma darsi la possibilità di scrivere un lieto fine,“tenendo il nostro sé bambino nel marsupio del nostro sé adulto”. Janina Fisher «guarire la frammentazione del sé»

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